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E’ noto a tutti che l’uva negroamaro sia la varietà autoctona più rappresentativa del Salento, ma, professionisti a parte, sono in pochi a sapere che un buon calice di negroamaro può accompagnare molteplici pietanze: dal classico piatto di orecchiette al pomodoro alla carne alla brace, da un aperitivo ai frutti di mare al dolce…si, avete capito bene, frutti di mare e dolce compresi!
Infatti, sebbene il negroamaro sia un vitigno a bacca nera, dalla sua uva si produce una varietà di vini davvero molto diversi fra loro. Il più conosciuto è senza dubbio il rosso che, come racconta il nome stesso del vitigno, si presenta corposo, con un colore violaceo scuro e dal retrogusto amarognolo, perfetto da gustare con la carne alla brace, ma anche con un succulento piatto di lasagna o i tipici pezzetti di cavallo al sugo.
Questo rosso si ottiene con una lunga macerazione delle bucce dell’uva durante la fermentazione, ma se proviamo a diminuire il tempo di questa macerazione, ecco che da questo meraviglioso vitigno possiamo ottenere dei rossi eleganti, ma soprattutto rosati di grande carattere e bianchi…si, dei bianchi con una struttura ed una freschezza sorprendenti.

Il rosato da uve negroamaro è ormai riconosciuto come il vino più rappresentativo della nostra terra, sia per la sua storia, sia per le sue qualità.
Storicamente, la prima bottiglia di rosato ad essere imbottigliata in Italia è stata proprio un rosato da negroamaro e, precisamente, il Five Roses: nel 1943, infatti, il generale americano Charles Poletti si innamorò di questo rosato prodotto dalla cantina Leone de Castris e ne ordinò una gran quantità di bottiglie da mandare in America. Per imbottigliare questo vino furono usate bottiglie di birra (le uniche che fu possibile reperire nel pieno del secondo conflitto mondiale) e, vista la destinazione, si optò per un nome inglese, Five Roses, ripreso dal nome della tenuta dove, ancora oggi, cresce il vigneto da cui si produce questo rosato: Tenuta cinque rose. E’ così che questa iconica bottiglia è diventata la prima di una lunga serie di altrettanto interessanti versioni di rosato del Salento.
Ma è con il suo carattere che il rosato del Salento ha conquistato, negli anni, sempre più consumatori, diventando uno dei vini italiani più apprezzati ed esportati al mondo. Un carattere deciso che si intuisce al primo sguardo, grazie al colore intenso e vivace, e si svela al primo sorso, con un gusto pieno e fresco che lo rende perfetto come vino a tutto pasto.

A questo punto, dopo il rosso ed il rosato, non ci resta che scoprire se dall’uva negroamaro sia possibile ottenere un vino bianco. E la risposta non può che essere sì! Di recente, infatti, grazie alla visione di alcuni vignaioli lungimiranti, questo vitigno ha iniziato a regalarci delle meravigliose chicche vestire di bianco! Non tutti sanno che le sostanze che danno colore al vino sono contenute nella buccia dell’acino e si estraggono attraverso la macerazione di queste bucce durante la fermentazione del mosto: una macerazione lunga ci consente di ottenere rossi più o meno intensi, una macerazione breve, di qualche ora (o di una notte, così come vengono definiti i rosati del Salento) ci consente di ottenere i vini rosati, e l’eliminazione del contatto fra buccia dell’uva e mosto dopo la pressatura, ci consente di ottenere vini bianchi anche da uve a bacca nera. E’ così che, da qualche anno, vengono prodotti bianchi da uve negroamaro che hanno saputo conquistare anche i palati più esigenti, per la loro struttura e per un eccezionale equilibrio tra freschezza e sapidità, che li rende perfetti da gustare anche con i latticini o un antipasto di frutti di mare.

E le sorprese non finiscono qui! L’estate è alle porte e la versione del negromaro perfetta per questa stagione è sicuramente quella spumantizzata: che sia rosato o bianco, metodo martinotti o metoto classico, lo spumante da negroamaro è un’esperienza della quale non possiamo privare i nostri sensi, soprattutto per un gustoso aperitivo in riva al mare.

Dulcis in fundo…lascio a voi il piacere di scoprire se dall’uva negroamaro sia possibile produrre un passito, magari da gustare insieme al più “autoctono” dei dolci del Salento, il pasticciotto. Qualcosa mi dice che avete già idea di quale sia la risposta 😉

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